SCARTI DI PIACERE
SCARTI DI PIACERE
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Carta, plastica, carta, alluminio, Alluminio, alluminio,
Plastica, carta, alluminio...
Per quanto il prodotto di consumo sia minimo, gli elementi-strati che si devono sperimentare per giungervi sono molteplici.
Tutto appare come in una serie di combinazioni matematiche delle variabili possibili di accostamenti, abbinamenti, sequenze, una lista che potrebbe non avere mai fine. In modo analogo alle note di uno spartito, gli elementi rappresentati da Federico Bevilacqua si susseguono, si schierano, si allineano nella loro impassibilità.
Il suo lavoro è didascalico, sistematico e non lascia scampo allo sguardo che, inevitabilmente, sintetizza il concetto.
Bianco, arancione, bianco, arancione Blu, argento, bianco,
Giallo, blu, oro,
Verde, bianco.
Il lato sinistro, abbondante, dedicato all’esubero, al superfluo;
il lato destro, minimale, espone il contenuto fruibile, la “sostanza”.
L’ordine espositivo impone la conta, nell’inaccettabile disequilibrio della coppia.
“Scarti di piacere” non può non colpire, non può lasciare indifferente.
La pulizia dello sfondo bianco o nero su cui fluttuano i soggetti, le geometrie, i colori, svelano il lato giocoso dell’autore oltre alla sua propensione all’indagine, una cifra che lo contraddistingue come persona, come fotografo e che si è rivelata in maniera chiara permeando i suoi lavori più recenti.
L’attualità del tema è innegabile, in questo nostro tempo attraversato dalle ansie della sostenibilità, dell’impatto della civiltà dell’uomo sul pianeta, la cui reversibilità si ritiene già oltre il punto di non ritorno.
In particolare nel settore dell’alimentazione l’eccesso di packeging, che si giustifica per necessità di igiene, sfocia in soluzioni paradossali.
Emblematico il caso di un alimento molto diffuso quanto velleitario come il caffè che viene risolto dall’industria con la tecnologia delle cialde, producendo uno “scarto” del materiale necessario per ottenerlo che ha rapporto (rispetto al bene di consumo) molto prossimo al 100%.
L’esito formale del progetto fotografico riporta alla memoria la storia della tradizione fotografica degli oggetti appoggiati sulla carta fotosensibile di Man Ray (i rayograph), i fotogrammi di Luigi Veronesi, i viraggi di Denis Brihat (nella loro fluttuante sospensione degli sfondi bianchi); tutti progetti fotografici con altre finalità e ambiti di ricerca più strettamente collegati alle tecniche fotografiche piuttosto che al “concetto”, ma che comunicavano un grande e analogo formalismo grafico ed estetico.
Alessandro Angeli
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